La storia

Per meglio cogliere gli albori della professione notarile e evidenziarne i tratti destinati a caratterizzarla sino ai nostri giorni, è opportuno far riferimento al notariato bolognese.

Le ragioni di questa scelta vanno ricercate non tanto nell’intensità degli interessi coinvolti nell’attività dei Notai bolognesi – aspetto che vedrebbe prevalere città quali Genova, Venezia, Milano o Piacenza – quanto nel fatto che a partire dal’XI secolo i Notai a Bologna si trovarono ad operare in una situazione di quasi simbiosi con altri due istituti sorti in epoca medievale: il comune e l’Università.

In particolare la contiguità geografica e culturale del notariato bolognese con lo Studio, vale a dire con la neonata Università – ebbe un duplice importante effetto: da un lato garantì la fruizione pressoché immediata di quanto i dottori dello Studio andavano elaborando sui testi di diritto e dall’altro agì quale cassa di risonanza delle vicende che videro coinvolto il notariato bolognese amplificandole al di là dei limiti territoriali cittadini.

I più antichi documenti notarili bolognesi risalgono al X secolo e sono pochi, redatti in modo approssimativo per rispondere alle esigenze pratiche e contingenti di un mondo economicamente e culturalmente povero. Gli scrittori si autoqualificano notarius, aggiungendo a volte la formula Sancte Bononiensis Ecclesie, hanno scarsa conoscenza delle formule utilizzate e della stessa lingua latina.

Nell’evoluzione successiva – tra il quinto e il settimo decennio del secolo XI – si introdusse l’uso di datare i documenti con il millesimo e apparve il termine romano di instrumentum a designare il documento notarile, diminuì il numero delle sottoscrizioni autografe, sostituite dalla menzione ad opera del Notaio della presenza delle parti all’atto; divenne più frequente l’attestazione, ad opera dei Notai di avere attribuito con la propria scrittura, valore di prova al documento.

E’ in questi anni e precisamente intorno al 1088 – che si colloca tradizionalmente la nascita dello Studio bolognese.

Elementi per affermare l’esistenza di un rapporto tra Studio e notariato bolognese si colgono nella circostanza che Irnerio
– tradizionalmente indicato come il fondatore dello Studium di Bologna – aveva predisposto un formulario per i Notai, ovvero una raccolta di esempi dei documenti che potevano essere scritti dai Notai e nel contempo aveva innovato la formula iniziale del Contratto di enfiteusi, basandosi sulla legge Iubemus compresa nel capitolo XIV del titolo II del libro I del Codice giustinianeo.

L’attenzione riservata da Irnerio ad un aspetto prettamente tecnico del contratto di enfiteusi in realtà si inseriva – secondo alcuni autori – in una più ampia riflessione circa la situazione che caratterizzava il notariato all’inizio del XII secolo.

La legge Iubemus s rivolgeva infatti ai giudici, agli addetti alle curie cittadine e ai tabellioni, e vietava di autorizzare, inserire negli atti ufficiali, e per i Notai tabellioni di scrivere documenti nei quali fossero venduti beni ecclesiastici.

Proprio l’equiparazione – operata dalla norma, tra giudici, addetti alle curie cittadine e tabellioni Notai indicava che i documenti redatti dai Notai avevano acquisito una forza probatoria che sembrava prefigurare la nozione di pubblica fede.

Nel corso del XII secolo, s’intensificò l’interazione tra comune e notariato: dapprima sotto forma di continuativo e preferenziale ricorso all’opera di alcuni Notai in posizione apicale nella società cittadina, e poi parallelamente alla separazione degli organi politici da quelli amministrativi, ad una delimitazione dell’ambito notarile alla sola redazione dei documenti.

Specchio di questa mutata caratterizzazione dell’attività notarile e di una diversa attenzione dello Studio nei suoi confronti fu anche l’opera di Ranieri da Perugia apparsa nel secondo decennio del secolo XIII.

Il testo, pur partendo dalla forma tradizionale del formulario, sia pure innovata per quanto concerneva la disposizione e l’organizzazione della materia, contemplava anche una parte teorica con l’esposizione dei principi di diritto ai quali deve ispirarsi l’attività del Notaio;l’analisi della distinzione delle persone, delle cose, dei contratti e dei patti, dei benefici e delle eccezioni, del numero di testimoni, definiva il concetto di pubblicationes come parti che solo il Notaio può apporre ai documenti quale pubblica persona nominata da una pubblica auctoritas.

Mentre si sistematizzavano e si approfondivano le conoscenze giuridiche indispensabili all’esercizio della professione notarile, il comune di Bologna avviò un’iniziativa destinata a modificare la procedura, anch’essa tradizionale, attraverso la quale si acquisiva titolo e funzione di Notaio.

L’operazione ebbe inizio a partire dal secondo semestre dell’anno 1219 e sfociò nella redazione del Liber notariorum, ovvero il registro nel quale venivano elencati tutti i Notai attivi.

Tale iniziativa non fu motivata da esigenze corporative di difesa della professione notarile, quanto dalla necessità di assicurare un effettivo riscontro circa la realtà della qualifica di Notaio quando, in sede contenziosa, ne venissero impugnate le scritture. Un gruppo di esperti incaricati dal comune aveva emanato un provvedimento che obbligava tutti coloro che si dichiaravano Notai a presentarsi ad un apposito ufficio e a farsi ivi registrare con l’indicazione dell’autorità che aveva concesso il privilegio di notariato.

Nel corso dell’anno 1219 ben 278 Notai si fecero registrare ed altri 142 lo fecero negli anni successivi.

In un secondo momento, nel 1221, terminate le operazioni di registrazione dei Notai attivi, all’Ufficio si presentarono coloro che intendevano iniziare l’esercizio della professione e nei confronti di questi gli addetti all’ufficio cominciarono a verificarne la preparazione tecnica.

Nel 1242 Salatiele presentava la propria Ars Notariae nella quale suggeriva nuovi criteri di valutazione della preparazione dei Notai.

Sulla scorta delle sue indicazioni a partire dal 1249 venne introdotta la formalità della presentazione (representatio) dei candidati all’esame di notariato da parte dei maestri di arte notarile che in tal modo ne garantivano la preparazione professionale. Tra i Notai più frequentemente chiamati a compiere tale formalità ricorrevano i nomi di Rolandino e Salatiele.

A partire dal 1252 si richiese al candidato la conoscenza dei contratti, degli atti di ultima volontà e dei giudizi.

Per provvedere all’insegnamento di queste tecniche nacquero in Bologna delle vere e proprie scuole di notariato, ed in particolar modo quelle con a capo Salatiele da un lato e Rolandino dall’altro.

La diversa concezione della professione notarile propria dei due capiscuola trovò espressione in due diverse opere elaborate dagli stessi.

L’Ars notariae di Salatiele apparsa nel 1242 presentava una netta preponderanza della parte teorica, ed era corredata da glosse redatte sulla base dei testi giustinianei.

Maggior successo ebbe il testo di Rolandino del 1255 la Collectio contractuum: apparentemente essa ricalcava la struttura tipica del formulario ma su questa Rolandino inserì il Tractatus notularum manifesto della sua concezione del notariato, il commento al testo, l’Aurora, ed il Flos ultimarum voluntatum, un trattato sulle disposizioni a causa di morte. L’opera, successivamente continuata da Pietro d’Anzola e Pietro Boattieri, prese il nome di Summa totius ars notarie.

Tra gli istituti tipici del notariato bolognese e nel quale è agevole riconoscere altrettanti elementi del notariato moderno è da annoverare l’ufficio dei Memoriali. L’ufficio venne creato nel 1265 e registrava la data, il nome delle parti, dei testimoni, del Notaio e il riassunto del contenuto degli atti notarili il cui oggetto fosse pari almeno a venti lire di bolognini equivalenti al valore di una coppia di buoi.

L’esigenza che presiedeva all’istituzione dell’ufficio dei Memoriali era quella di evitare le falsificazioni dei documenti notarili precostituendo un termine di raffronto per verificare la veridicità dei documenti notarili eventualmente prodotti. La registrazione nel suddetto ufficio era gratuita, a cura delle parti e da compiersi – a pena di nullità dell’atto – entro il giorno successivo alla stipula dello stesso, e ben presto si estese sino a comprendere la copia integrale degli atti.

L’attività dell’Ufficio dei Memoriali si protrasse fino alla metà del secolo XVI e poi, col diverso nome di ufficio del Registro fino al secolo XVIII.

documenti storici

Signa di Notai milanesi del XII secolo
1 Anselmus de Lovulto – 2 Ambrosius Martellus – 3 Anricus Gairardus – 4 Ambrosius de Valnexio iunior – 5 Guifredottus de Mortuis – 6 Guidus Col drarius – 7 Iacobus Coallia – 8 Arialdus – 9 Anselmus Somaruga – 10 Iohannes Portenarius – 11 Alamannus Rabbus – 12 Ambrosius

La prima CHARTA
Matricola dei Notai  1337 – 1510
Archivio Notarile

Matricola dei Notai
Anno 1337 – 1510
Archivio Notarile

Minuta di un Atto
Carturale di Petrino Venzaghi (1339 – 1371), filza n. 2
Archivio Notarile

Seconda redazione della Minuta
Carturale di Petrino Venzaghi (1339 – 1371), filza n. 2, Atto imbreviato
Archivio Notarile

Rubrica
Carturale di Petrolo Oldani (1348 – 1380), filza n. 3
Archivio Notarile

Prima pagina del Protocollo degli anni 1357 -58
Carturale di Ambrosolo Aresi (1356 – 1389), filza n. 9
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Atto di Vendita di marchi impressi su pezze di fustagno
Carturale di Marcolo Golasecca (1369 – 1392), filza n. 13 Come risulta dall’atto, tali “signa figurata” erano stati a suo tempo “depositati”, a cura di colui che ora vende, “super quodam libro seu quaterno Abbatum societatis et universitatis artis fustaneorum Mediolani”.
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